Ho appena finito di leggere un articolo di Rizzo sul Corriere dello Sport.
E' assolutamente vero che negli anni '80 e '90 in Italia si praticava il doping di stato, nel senso che allora si dopavano tutti su consiglio degli stessi medici della Federazione e chi si dissociava veniva messo da parte.
Quindi tutti i ciclisti in attività che hanno corso in quegli anni (ad es. Rebellin) sono cresciuti nella convinzione che doparsi non sia poi un reato così grave e che per poter vincere sia necessario "prendere" qualcosa.
Leggere però di "emergenza ciclismo" mi fa cadere le braccia.
Ma questi geni del Coni non capiscono che, se i controlli che si fanno nel ciclismo si facessero negli altri sport scoppierebbe uno scandalo di proporzioni inaudite. La realtà è che non conviene a nessuno.
Oggi in Italia e ancor di più in Francia è stata intrapresa una linea repressiva piuttosto rigorosa verso il doping, purtroppo non tutti gli stati europei seguono questo orientamento. Spero che i giovani capiscano che non è più possibile farla franca e che se anche antidoping è indietro rispetto alle tecniche dopanti prima o poi i disonesti vengono scoperti e squalificati. 2-3 anni di inattività sono una bella botta, possiamo anche rendere più pesanti le squalifiche però la cosa più importante è far capire che è finito il tempo del "buttarsi dentro di tutto) e che ora si deve far affidamento sulle proprie forze. Certo se poi in Spagna la federazione ciclistica continua a "proteggere" i suoi dopati si crea una disparità intollerabile e il risultato sportivo è palesemente alterato.
Vado a memoria: i 3 grandi Tour vinti da Contador e Sastre, Samuel Sanchez campione olimpico a Pechino, il mondiale sfuggito per la tattica suicida di Freire e Valverde che litigarono sulle strade di Varese.
In altri sport negli ultimi 2 anni: Europei di calcio, Europei di Volley
![Shocked :shock:](./images/smilies/icon_eek.gif)